Caro Direttore, anche per questa volta accolgo il suo gentile invito a scrivere qualcosa per HERMES. Non le nascondo che mi è sempre più difficile commentare le cose del nostro Comune, Centola, in cui pare non cambi mai niente. Per questo motivo affronterò, questa volta, considerazioni di ordine più generale. Anche qui, come nel resto del paese, la situazione economica sta peggiorando; credo che tutti si siano resi conto che sono aumentate le situazioni di disagio sociale, di povertà, e vediamo l’orizzonte sempre più buio. Forse in passato, quando le cose andavano meglio, non abbiamo avuto sufficiente lungimiranza e non ci siamo preparati ai periodi di crisi. Abbiamo cercato un facile benessere con l’abusivismo, la mancanza di rispetto per l’ambiente, così abbiamo impoverito le potenzialità, le prospettive per il futuro delle nuove generazioni, costringendole, più che in passato, all’emigrazione. Ho riflettuto su quali possano essere le cause di questo nostro modo di comportarci: credo che sia legato in gran parte al nostro individualismo. Ho l’impressione che questo modo di pensare (e di agire) sia sempre più diffuso. La pretesa che la propria libertà non sia subordinata agli interessi della collettività porta alla disgregazione dei rapporti tra le persone, con perdita della fiducia reciproca. Questo ha conseguenze dannose sul piano umano, famigliare e sociale.
Pochi giorni fa l’ISTAT ha reso pubblici i dati italiani sui livelli di fiducia verso gli altri. Noi, tra i paesi OCSE (Organizzazione per la Collaborazione e lo Sviluppo Economico) siamo uno di quelli con i valori più bassi. In Italia l’indice di fiducia è del 20%, in calo rispetto al 21,7% di due anni fa. In Germania e Inghilterra l’indice è al 31%, in Danimarca e Finlandia addirittura al 60%. In Italia poi ci sono grandi differenze tra Nord e Sud: al Sud l’indice è del 15% mentre in Trentino Alto Adige è del 30%.
La crisi della famiglia (dove ognuno pensa solo a se stesso), la crisi delle aziende, il degrado della politica, la stessa crisi economica sono le conseguenze di questa cultura individualista che porta alla perdita di fiducia reciproca. Questa mentalità, profondamente radicata nella società, è frutto anche di decenni di politica e di cultura instillata dai mass-media. In sostanza è la vittoria dell’ideologia neoliberista, propugnata principalmente delle lobby finanziarie anglo-americane. Questa ideologia, è stata anche causa delle principali crisi economiche: la crisi del ’29, iniziata negli USA e propagatasi, in pochi anni, al resto del mondo Italia compresa, e la recente crisi dell’economia mondiale esplosa nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers, negli USA, che ha colpito in seguito tutto il mondo occidentale. Queste due crisi, sono state conseguenza soprattutto di un processo di deregolamentazione della finanza che, di fatto, ha subordinato le regole morali al profitto. L’Italia ha affrontato anche un’altra grave crisi economica, quella conseguente alla sconfitta della seconda guerra mondiale, dalla quale tuttavia siamo riusciti a risollevarci grazie a una politica economica basata su una forte iniziativa pubblica. Ciò è stato possibile anche perché, negli anni ’30 del secolo scorso, durante il Fascismo, per affrontare la crisi economica (anche allora il focolaio epidemico fu Wall Street), furono costituite delle aziende pubbliche come l’IRI (Istituto della Ricostruzione Industriale) che fece in modo che la famosa crisi del 1929 risultasse molto meno dolorosa per il nostro Paese. Nel dopoguerra lo sviluppo economico era stato tale da farci diventare la quarta potenza economica mondiale superando persino la Francia e la Gran Bretagna. Ciò fece preoccupare molto le grandi lobby finanziarie anglo-americane (perché il modello economico italiano poteva rappresentare una valida alternativa tra l’economia comunista e quella capitalista liberale), che presero le opportune contromisure. Molto probabilmente c’è anche il loro zampino nella caduta della prima repubblica. Successivamente vari governi, più inclini ad ascoltare le Sirene del liberalismo e deboli di fronte alle pressioni della finanza internazionale (ad esempio quando siamo voluti entrare nell’euro), avviarono una politica di privatizzazioni, con dismissione delle principali aziende statali, ottenendo il risultato di aver portato a una notevole riduzione delle capacità produttive del paese. Il contagio di questa cultura liberale si vede sia a destra, che a sinistra dello schieramento politico. Infatti, vediamo come forze politiche di matrice socialista, che una volta mettevano al primo posto gli interessi dei lavoratori, della collettività, ora si stiano orientando, sempre più, verso posizioni liberali, radicaleggianti, in definitiva individualiste. Vengono messi in primo piano gli interessi di vari gruppi, rispetto a quelli della comunità nel suo insieme, si cerca di accontentare pretese più o meno legittime che spesso sono etichettate come “diritti” (vedi ad esempio il matrimonio omosessuale), trascurando i problemi più pressanti per la maggioranza dei cittadini, come il lavoro. Le conseguenze negative di questa cultura si stanno manifestando con sempre maggiore evidenza. L’interesse personale è un collante debole in qualsiasi gruppo, il suo effetto coesivo, di solito, dura poco. Invece l’altruismo è un collante molto più robusto e durevole per ogni associazione, a iniziare dalla famiglia. Se manca il cemento dell’altruismo, non si potrà mai realizzare quella forte unione tra persone, nelle associazioni, su cui poggiare saldamente una società, che si rivelerà fragile nei momenti di crisi. Tornando alla politica, credo che dovremmo valutare se applicare quegli interventi economici che diedero ottimi risultati, sia negli anni ‘30 sia nel dopoguerra, vale a dire affiancare, in alcuni settori, l’iniziativa pubblica a quella privata. Qualcosa di simile potrebbe essere fatto anche a livello comunale. Mesi fa, in un’assemblea organizzata dal movimento Rinascita, è stato sollevato il problema della gestione delle concessioni demaniali nelle aree marittime, è stato proposto che il Comune assuma la gestione diretta di queste aree, com’è stato fatto, per esempio, ad Acciaroli, per opera del sindaco Angelo Vassallo. Altra possibilità, attuata in vari comuni, sarebbe una gestione affidata a società miste (pubblico, privato). Anche in altri settori il Comune potrebbe intervenire direttamente, ad esempio, nel servizio idrico, nella raccolta e smaltimento dei rifiuti, nei parcheggi. Per rilanciare lo sviluppo però non credo che sia sufficiente passare alla gestione pubblica di alcuni servizi: sarebbe necessaria anche una forte coesione sociale. Porsi l’obiettivo di una comunità solida, coesa è forse la principale premessa per uno sviluppo futuro. Ma per fare questo avremmo bisogno di una rivoluzione culturale, che richiami ogni cittadino alla responsabilità del rispetto del proprio dovere, che lo porti a sentirsi parte di un destino comune. Purtroppo ci sono troppi furbi che credono di avere il diritto di non rispettare gli obblighi imposti dalle istituzioni. Altro elemento importante, per la coesione, è la solidarietà, verso le persone e le famiglie in difficoltà. A questo proposito, vorrei invitare gli operatori turistici e gli amministratori comunali a favorire nelle assunzioni e negli incarichi i cittadini residenti nel nostro comune. La solidarietà non può essere tuttavia demandata solo all’amministrazione comunale, che però potrebbe promuovere delle associazioni di volontariato, in maniera da agevolare il compito di chi, con un po’ di altruismo, sarebbe disposto a dare una mano ai bisognosi. Gli amministratori comunali fanno bene a organizzare feste di paese, anche queste possono migliorare le relazioni umane, però sarebbe ancora meglio dare il buon esempio, far rispettare i regolamenti e mettere sempre in primo piano gli interessi della collettività, rispetto a quelli dei singoli. La saluto cordialmente.
Gustavo Mion