FOIBE: UNA TRAGEDIA ITALIANA

di Uccio de Santis
Presidente dell'Istituto Studi Storici Economici e Sociali
www.isses.it

BambinaIl 10 febbraio di ogni anno si celebra IL GIORNO DEL RICORDO, una solennità civile istituita con la legge n.92 del 30 marzo 2004 per commemorare le vittime dei massacri nelle spaventose voragini delle Foibe e dell'esodo giuliano-dalmata.
La data del 10 febbraio è stata scelta perché in tale giorno nel 1947 fu firmato a Parigi il trattato di pace con cui furono sancite le amputazioni delle terre italiane sul confine orientale. Soprattutto gli americani volevano assicurarsi l'amicizia della Jugoslavia di Tito per allontanarlo dal blocco soviwtico (nel marzo 1948 la Jugoslavia ruppe con Stalin), continuando così ad imporre la loro politica di asservimento dei governi della vecchia Europa sconfitta e divisa.
Questo è il testo della legge che fu approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento Italiano il 16 marzo 2004:

«La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata [...] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero.»

Il Giorno del ricordo viene celebrato ogni anno con una solenne cerimonia al Palazzo del Quirinale al cospetto del Presidente della Repubblica che conferisce le onorificenze "alla memoria" ai parenti delle vittime. Contemporaneamente in molte città si tengono convegni e celebrazioni e vengono intitolate vie e piazze in ricordo di quei tragici avvenimenti che purtroppo sono poco presenti nella memoria della nazione se non addirittura ignorati. Un recente sondaggio ha evidenziato che solo il 43% dei cittadini conosce il dramma delle Foibe e addirittura appena il 22% ha sentito parlare del drammatico esodo dei giuliani-dalmati. Eppure in Italia sul confine orientale durante e subito dopo l'ultima guerra, dal 1943 al 1948 si sono verificati eventi di tale portata che si possono senz'altro definire un genocidio.
La popolazione di una intera regione, oltre trecentocinquantamila italiani che abitavano da secoli la Venezia Giulia e la Dalmazia, hanno dovuto lasciare le loro terre. Eppure già allora le Nazioni Unite proclamavano a gran voce il diritto della autodeterminazione dei popoli. Questo esodo biblico è avvenuto nel terrore lasciando una scia di migliaia e migliaia di morti che hanno riempito le Foibe dell'altopiano carsico o sono scomparsi nell'Adriatico, gettati vivi con una grossa pietra al collo. Morti per lo più civili, morti a guerra finita, colpevoli solo di essere italiani. Questo gravissimo crimine è stato accuratamente tenuto nascosto alle giovani generazioni e non se ne parla nei libri in uso nelle scuole, perché le truppe slave del maresciallo jugoslavo Tito che hanno invaso quelle terre erano guidate ed accolte dai comunisti italiani che, agli ordini di Stalin, volevano che i sovietici si affacciassero al Mediterraneo.
In seguito alla guerra perduta, il trattato di pace del 1947 ci costò gravi sacrifici territoriali, quasi tutti sul confine orientale. Passarono alla Jugoslavia città e terre che erano state prima romane e poi veneziane per oltre mille anni e la cui popolazione era in stragrande maggioranza di lingua, cultura e di sentimenti italiani. Questa dolorosa perdita ci fu imposta dalle potenze che avevano effettivamente combattuto e vinto contro di noi, cioè dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti per le pressioni di Stalin che voleva a tutti i costi che Tito, allora suo fedele satellite, traesse il massimo vantaggio consolidando la sua minacciosa presenza sull'Adriatico.
Mai gli slavi sarebbero riusciti ad occupare l'Istria e la Dalmazia se i partigiani comunisti italiani non avessero sin dal 1943 condotto in quelle zone una guerra tutta loro in simbiosi con le truppe di Tito ed avendo addirittura cruenti scontri con le altre formazioni partigiani italiane non di osservanza marxista.
BasovizzaTogliatti, che era all'epoca ministro del governo italiano del Sud, aveva regolari incontri con gli esponenti del partito comunista sloveno ipotizzando l'instaurazione del "potere popolare" (cioè la consegna alla Jugoslavia) di tutta la Venezia Giulia fino all'Isonzo, compreso quindi Gorizia e Trieste. Nella primavera del 1945 le truppe slave di Tito erano riuscite ad occupare solo le zone interne dell'Istria ma, alla resa dei tedeschi e dei reparti della RSI, ed approfittando della colpevole inazione degli americani ed inglesi (che si fermarono alle porte di Trieste), occuparono, ai primi di maggio, guidate dai partigiani comunisti italiani, tutte le città giuliane e vi praticarono una feroce pulizia etnica. Le esecuzioni di massa verso coloro che si erano distinti per il loro attaccamento all'Italia furono il tragico segnale per gli tutti gli altri per costringerli a partire. Anche tutti gli italiani che erano in servizio in quelle terre come carabinieri, finanzieri, ferrovieri o semplici postini, sparirono, trucidati a guerra finita per il solo fatto di essere italiani. Quanti furono i morti? Non si saprà mai di preciso perché i titini hanno distrutto gli archivi dei comuni. Di sicuro almeno diecimila, ma tra la popolazione residente nel 1940 e i 350.000 profughi fuggiti in Italia, mancano altri ventimila cittadini di cui non si sa più nulla. Già una prima volta subito dopo la dissoluzione dei reparti italiani per l'armistizio dell'8 settembre 1943, voluto da Badoglio e dal re, i partigiani di Tito invasero le terre abitate da italiani, procedendo ad una prima feroce pulizia etnica, incarcerando e gettando vivi nelle Foibe chi si rifiutava di aderire al regime comunista e non voleva consentire il passaggio di quelle terre italianissime alla Jugoslavia. Per fortuna, dopo pochi giorni le truppe tedesche scacciarono i partigiani dall'Istria e dalla Dalmazia, dove non avevano così avuto il tempo di completare i loro orrendi crimini contro gli Italiani. Il governo della Repubblica Sociale Italiana portò immediato soccorso alle popolazioni martoriate e furono riportate alla luce i corpi straziati delle vittime che erano stati precipitate nelle voragini delle Foibe.
Ben più sanguinosa, e purtroppo definitiva, fu l'occupazione che avvenne alla fine della guerra il 25 aprile 1945. Le truppe di Tito, che avevano condotto una feroce guerriglia nelle campagne dell'Istria e numerosi agguati terroristici nei centri abitati non erano mai riuscite ad entrare nelle città presidiate fino all'ultimo dalle truppe della RSI e dai Tedeschi. Infatti a Fiume i titini entrarono il 3 maggio, a Trieste il 1° maggio, a Pola solo il 5 maggio. Senza esito, per il veto opposto dagli "alleati", fu l'estremo tentativo attuato da alcuni esponenti del governo di Brindisi di sbarcare truppe dell'esercito del Sud a Trieste per proteggere i nostri connazionali. Ormai l'Istria era stata promessa a Stalin e non ci potevano essere interferenze.
I politici italiani, succubi delle sinistre, hanno sempre taciuto la tragedia della Venezia Giulia e solo da pochi anni, con il crollo dei regimi comunisti e con il dissolvimento dello stato jugoslavo, qualcosa si sta muovendo. Si moltiplicano le iniziative per recuperare alla memoria collettiva quel pezzo di storia dimenticata.
Sarebbe giusto, per esempio, che tutti, e in particolare i giovani, conoscessero l'esistenza, a pochi chilometri da Trieste, della Foiba di Basovizza che contiene 200 metri cubi di nostri poveri connazionali (oltre 2000 corpi), uccisi per essere italiani e che meritano il nostro commosso pensiero. Quella di Basovizza è l'unica in Italia, tutte le altre Foibe si trovano in territorio sloveno e croato e i governi di questi paesi hanno tutto l'interesse a occultarne la presenza. Dobbiamo costruire l'Europa e il futuro. E' giusto e doveroso che lo si faccia serenamente senza odi e rancori ma anche senza perdere la memoria delle tragedie che ci hanno colpito. Sarebbe auspicabile che anche i Sindaci e le Amministrazioni del Cilento dessero risalto il prossimo 10 febbraio alla ricorrenza e promuovessero, quanto meno con un manifesto ai cittadini, il ricordo dei nostri fratelli che hanno dovuto sopportare i lutti e l'esilio.

Uccio de Santis
Presidente I.S.S.E.S.
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