150 anni fa, il 14 febbraio 1861, si compiva l'ultimo atto del Regno di Napoli. Francesco II si imbarcava a Gaeta partendo per l'esilio. Il piccolo Piemonte si era ingrandito su tutto il Sud Italia. L'anno prima era riuscito con una guerra e l' aiuto dei francesi a strappare all'Austria la Lombardia e poi con una serie di rivolte interne aveva acquisito la Toscana, l'Emilia,le Marche e l'Umbria , spodestando gli antichi principi e restringendo al solo Lazio lo Stato della Chiesa.
Il nuovo Regno d'Italia fu proclamato il 17 marzo 1861, che quest'anno è stato celebrato come festa nazionale.
La guerra civile che vide opposti i tanti italiani del Sud fedeli alla monarchia borbonica (che durava da 120 anni) e i piemontesi vide nell'assedio di Gaeta bagliori di gloria che non vanno dimenticati.
La repentina morte (il 22 maggio 1859) a soli 49 anni di Ferdinando II, un sovrano amato dal suo popolo, ma soprattutto rispettato in campo internazionale, aveva posto sul trono Francesco II di soli 23 anni, inesperto ed impreparato alla bufera che si addensava sull'autonomia del Regno.
I potenti d'Europa non ostacolarono, anzi come nel caso dell'Inghilterra, favorirono sfacciatamente le mire espansioniste del Piemonte,
abbandonando di fatto il Re Borbone al suo destino. Né gli valse l'aver sposato una principessa bavarese, Maria Sofia, che era sorella di Elisabetta, imperatrice d'Austria, né i vincoli di parentela che lo legavano proprio a Casa Savoia (la madre di Francesco era Maria Cristina di Savoia, zia di Vittorio Emanuele II).
Quando Garibaldi arrivò in Sicilia, a Marsala, l'11 maggio 1860 due navi inglesi protessero lo sbarco e tutti gli Stati d'Europa restarono indifferenti ad una guerra non dichiarata neppure quando i "volontari" furono raggiunti più tardi a settembre dalle truppe regolari del Piemonte, che entrarono dal confine abruzzese. Mentre Garibaldi passato dalla Sicilia alla Calabria risaliva la penisola, Francesco II , mal consigliato, abbandonò troppo presto, (il 7 settembre 1860) Napoli, la capitale, per evitare danni e lutti alla città. La partenza avvenne sotto i peggiori auspici. L'avviso Messaggero, con il Re a bordo, salpò da Napoli diretto a Gaeta, ma quasi tutte le altri navi della flotta napoletana (che all'epoca era la più grande tra i vari stati italiani) rifiutarono di seguire il Re. I loro ufficiali, corrotti dal denaro o lusingati dalle idee massoniche e liberali, avevano tradito. Non così i marinai. Molti di loro si buttarono a mare dalle loro navi raggiungendo a nuoto le uniche due che seguirono il Re, la fregata Partenope e l'avviso Delfino che partirono carichi fino all'inverosimile di sudditi fedeli.
Tra il 26 settembre e il 2 ottobre ha luogo la battaglia risolutiva sul Volturno, dove il grosso dell'esercito borbonico (50 mila uomini), dopo alterne vicende, viene battuto dai garibaldini. Le truppe di Francesco si ritirano prima sul Garigliano e poi a Gaeta, l'ultimo baluardo. L'assedio della piazzaforte da parte dell'esercito piemontese (i garibaldini sono stati messi da parte) cominciò l'11 novembre 1860. Intorno a Francesco II ed alla Regina Maria Sofia ci sono 16.700 uomini e 994 ufficiali. L'artiglieria della fortezza ha circa 300 cannoni, ma solo 4 sono quelli moderni a canna rigata. Gli assedianti sono 18.000 uomini dell'esercito piemontese con 450 cannoni di cui 66 modernissimi a canna rigata.
L'eccessivo affollamento della fortezza provoca dopo pochi giorni una terribile epidemia di tifo petecchiale, che miete vittime tra i civili ed i militari.
Navi francesi inviate da Napoleone III sono presenti nel porto di Gaeta e non permettono all'inizio il blocco navale. Viste le difficoltà di sostenere il vettovagliamento di tante migliaia di uomini, il Re congeda e fa partire il 14 dicembre con navi francesi 2 reggimenti (4.500 uomini).
I difensori sono ridotti quindi a 12.300 uomini con 993 ufficiali. Mentre passano le settimane e la fortezza sopporta i bombardamenti rispondendo con la sua artiglieria ed anche con qualche sortita, il gioco della diplomazia internazionale si chiude a danno del Borbone.
La Francia sia pure a malincuore acconsente che il Piemonte completi la sua espansione territoriale e il 19 gennaio 1861 ritira le sue navi.
Subito 10 unità della flotta sarda cingono d'assedio Gaeta anche dal mare impedendo ogni rifornimento ed iniziando il bombardamento anche dal mare. Nell'inferno di fuoco, tra le privazioni e il tifo che imperversa, i borbonici continuano a resistere.
Desta unanime ammirazione, anche tra i nemici, il comportamento della giovanissima Regina Maria Sofia che fu sempre in prima fila incitando i combattenti e soccorrendo i feriti. Marcel Proust la definì "Regina soldato sui bastioni di Gaeta" e D'Annunzio "Severa piccola aquila bavarese".
La fine si avvicina. Il 4 febbraio salta in aria, centrata da una salva, la polveriera Cappelletti e il giorno successivo la spaventosa esplosione del magazzino munizioni della batteria Sant'Antonio scuote la terra, provocando 316 morti tra i soldati e 100 tra i civili, oltre a danni ingentissimi alle opere di difesa. La situazione tra bombardamenti e tifo sta diventando insostenibile. Francesco II per evitare ulteriore spargimento di sangue autorizza le trattative di resa.
Il 13 febbraio 1861 alle ore 18,15 si sospendono le ostilità.
L'assedio è durato 102 giorni.
I piemontesi hanno avuto 46 morti. I borbonici 826 morti e 200 dispersi seppelliti tra le rovine.
Il 14 febbraio il Re e la Regina ricevono gli onori militari dalle truppe schierate e si imbarcano sul vapore francese Mouette che li porta in esilio a Roma, che allora era ancora capitale dello Stato Pontificio. Subito dopo le truppe duesiciliane in ordine di combattimento escono dalla piazzaforte ricevendo gli onori militari da un reparto piemontese.
Anche se restano in armi le fortezze di Messina (si arrese il 13 marzo) e di Civitella sul Tronto in Abruzzo (si arrese il 20 marzo) il più antico regno italiano cessa di esistere.
I difensori di Gaeta ebbero sorti diverse.
Gli ufficiali dopo una breve prigionia poterono, su domanda e previo filtro di una commissione, essere ammessi a far parte del nuovo esercito italiano. Per gli 11.289 soldati borbonici si apre invece un doloroso calvario: considerati prigionieri di una guerra mai dichiarata furono avviati al nord ai campi di "istruzione" (in realtà campi di concentramento) di San Martino Cavanese in Piemonte, mentre circa mille, quelli più fieri, furono internati a 2.000 metri di altezza nella fortezza di Fenestrelle, da cui molti non tornarono.
Il nuovo ordine instaurato nel Sud Italia provocò il fenomeno che fu definito "brigantaggio", in cui furono presenti sia il legittimismo e la fedeltà ai Borboni, sia una generica ribellione alle nuove leggi.
Tra il 1861 e il 1863 il nuovo Regno dovette impegnare al Sud un corpo di spedizione di 163mila uomini. I dati ufficiali parlano di 7.000 esecuzioni per i ribelli , ma le cifre reali ipotizzano 100.000 morti tra i rivoltosi e 20.000 tra i soldati. Un bilancio spaventoso, maggiore di tutti caduti nelle guerre del Risorgimento messe tutte insieme.