LORO CREDEVANO

di Adamo D'Angelo

Noi credevamo. Su questa affermazione di Domenico, testimone dell'intera vicenda, si chiude l'importante e bellissima opera, anche nelle sue imperfezioni, di Mario Martone sul Risorgimento. Uscito a ridosso dei festeggiamenti per i 150 anni dell'unità d'Italia, il film "Noi credevamo", parzialmente girato nel Cilento con un uso credibile ed efficace del dialetto, tiene a distanza ogni retorica celebrativa, per divenire, con urgenza e necessità, riflessione sullo stato attuale del nostro paese. Attraverso un arco cronologico che va dal 1828 al 1862 ed una scansione narrativa in quattro parti, possiamo assistere alla formazione di quei caratteri e di quei comportamenti che costituiscono le fragili fondamenta sulle quali si poggia la nostra democrazia. I compromessi e il trasformismo della politica, il cinismo degli opportunisti, l'incapacità di condividere un'idea e i tradimenti della stessa che impedirono al Risorgimento di farsi rivoluzione compiuta, sono gli stessi che ancora oggi impediscono la costruzione di uno stato unitario e moderno. Con una essenziale ricostruzione di ambienti interni ed esterni, Martone realizza un racconto potente, lasciando sullo sfondo i noti eroi risorgimentali o presunti tali, per privilegiare le vite di uomini e donne ai margini di terre - periferia della storia, col vivo intento di tratteggiare un'immagine rispettosa della realtà. L'importanza del tema però non prevarica la materia filmica, non impedisce a "Noi credevamo" di regalarci dialoghi e scene di grande cinema. Non si dimenticano i volti dei contadini di fronte all'orrore delle teste mozzate dei ribelli, la solidarietà degli uomini del popolo nel bagno penale siciliano, il dolore che consuma il corpo e la mente di Angelo, ormai stravolti dall'impeto rivoluzionario, nella incisiva interpretazione di Valerio Binasco o la sofferente sensualità della principessa Cristina di Belgioioso. Tutto questo per portarci all'ultima e sconvolgente parte, ovvero a quell'alba della nazione che è già livida e tragica, con i piemontesi abili nell'operare un rapido trasferimento dei poteri quanto nel forgiarsi come strumenti di morte. Mentre ai corpi dei ribelli non resta che trovare, come unico e logico sepolcro, la natura libera e selvaggia del sud, capace di accoglierli nel suo ventre per farne seme a futura raccolta. Loro credevano, ci dice Domenico. Molti hanno continuato a farlo, nonostante le disillusioni. E noi? Riusciremo a "non rinnegare le nostre speranze"? O continueremo a lasciarci sopraffare "dalla piaga schifosa dell'inerzia" ?