PALINURO: COME ERAVAMO

di Aniello Errico

Palinuro Porto di Palinuro Ottantasei chilometri di costa, a volte frastagliata, dove il susseguirsi di spiagge, promontori, insenature e baie la rendono unica per la sua lussureggiante macchia mediterranea e per i suoi forti profumi di agrodolce provenienti da pini, lentisco, mirto, ginestre ed altro.
Tra i costoni brulicanti di fauna mediterranea selvatica, gli ulivi secolari fanno da corona a paesi di poche anime che sopravvivevano con l'agricoltura e la pastorizia, nelle zone interne, e con la pesca lungo le coste; alberi secolari che spesso hanno il tronco ripiegato verso l'entroterra, a causa dei venti che soffiano sempre piuttosto sostenuti.
Un vecchio conoscente inglese, quando ero ragazzo, diceva che nel Cilento il vento soffia quattrocento giorni l'anno, poiché in taluni giorni è sempre doppio. Quasi al centro di queste meravigliose coste è situato il promontorio di Palinuro con a ridosso il borgo di virgiliana memoria: "Apernunque locum Palinuri nomen habebit".
Chi volesse notizie più articolate e complete, può trovarle nei libri, pubblicazioni, testi e depliant che descrivono gli aspetti storici, culturali, paesaggistici e turistici di Palinuro.
Amo Palinuro non solo perché ci sono nato e cresciuto, con tutti i consequenziali aspetti emotivi, ma anche perché i ricordi giovanili sono rimasti indelebili e vivi e, pur essendo passato il Cilento e Palinuro attraverso tutte le evoluzioni turistiche degli ultimi quarant'anni, con i suoi pregi e molti difetti, preferisco ricordare e rivivere momenti lontani come quando in primavera, "u fruntuni" (il promontorio) si vestiva di giallo con le sue immense ginestre ed il loro profumo che diffondeva nell'aria e diventava particolarmente intenso verso sera, quando il puntuale ponente lo diffondeva sulle case del paesino.
La vita in paese era scandita dalle ricorrenze e dal lavoro dei campi e della pesca. La raccolta delle ulive, la pesca con la sciabica o la lampara; la raccolta del grano e le lampare che andavano a pesca davanti agli Infreschi; la vendemmia e la pesca al pesce spada. Al porto si tingevano le reti e, dopo una procedura che arrivava da magistrale e laboriosa esperienza, venivano distese ad asciugare su apposite impalcature situate sulla spiaggia. Tutti coloro che hanno qualche primavera sulle spalle ricordano perché si festeggia S. Antonio del Porto il 25 settembre e quale fatto eccezionale accadde quella notte particolarmente significativo per la gente di mare di Palinuro.
Tra i tanti ricordi di ragazzo, uno in particolare mi ha accompagnato per molto tempo.
Ero mozzo a bordo di una lampara in una serata ideale per la pesca delle acciughe e si stava aspettando la "cinta" a ridosso dell'insenatura degli Infreschi, qualche miglio a sud di Marina di Camerota.
Nell'attesa qualcuno mangiava, qualcun altro dormicchiava ed altri si scambiavano, sottovoce, le consuete ed immancabili opinioni o discussioni.
Non un alito di vento ed il mare liscio come l'olio, facevano presagire una nottata tranquilla e redditizia.
Ad un tratto Don Giacomino, il capo barca, un uomo ben piantato come statura e con peso proporzionato all'altezza, che fino a qual momento era rimasto seduto in silenzio sulla murata del gozzo,di scatto si alzò in piedi, allungò il braccio orizzontalmente rimanendo qualche attimo ad osservare il fumo che si sprigionava dalla sigaretta di un marinaio. "Portatemi da Antonio" disse qualche attimo dopo. Antonio intanto con la lampara accesa da circa un'ora si stava preparando a raggiungere il punto ottimale per poter fare la "cinta".
Poche remate ed il capo barca si trovò in grado di comunicare a voce con Antonio: "ne 'Ntò" - "hoo" -
"Che dici ?" - "Jamuncinni" rispose Antonio.
Pochi minuti dopo, recuperata la lampara si faceva rotta per il porto di Palinuro, con il mare liscio come l'olio, il cielo serenamente stellato ed una leggerissima brezza da ponente.
Ci eravamo lasciati alle spalle Marina di Camerota quando in pochi minuti il vento si intensificò ed il mare passò in un baleno da liscio come l'olio a veramente incazzato.
Impiegammo mezza nottata per raggiungere e doppiare il promontorio di Capo Palinuro tra raffiche di maestrale fortissime ed onde che sballottavano le lampare e le coprivano spesso d'acqua, impegnandoci non poco a svuotare con secchi e qualunque cosa capitasse utile, fino all'arrivo in porto.
Dopo qualche giorno, mentre eravamo intendi a riparare le reti, sotto una tettoia di canne sulla spiaggetta del porto di Palinuro, seduto accanto ad Antonio gli chiesi: "Ma con una serata come quella dell'altra notte, con il mare liscio come l'olio e quasi senza vento, come avete fatto a capire che il tempo cambiava ed il mare si sarebbe agitato?"; e Antonio, senza scomporsi , senza distogliere lo sguardo dalle reti che stava riparando e con un tono di voce tra il solenne e l'imperativo rispose: "Uagliù, ta rà 'mparà a sent 'a puzza ru vientu". Erano i tempi in cui la corriera scendendo da Centola si lasciava una scia di polvere alle spalle e lentamente percorreva curve e tornanti e nelle curve più impegnative azionava le classiche trombe per il traffico... piuttosto scarso.
Verso sera, nell'ultima corsa i suoni delle trombe si facevano più insistenti, non perché si intensificasse il traffico, bensì per il saluto dell'autista agli amici e conoscenti che, assieme agli asinelli e ai muli, rientravano a casa dopo una giornata di lavoro nei campi dell'Isca, Purtigliula, Chiana ecc. Spesso l'autista rallentava la velocità della corriera per alzare meno polvere sulla strada in terra battuta.
Poi arrivò "u braccu".
Ovvero l'asfalto. Il primo tratto di asfaltatura fu eseguito tra l'Acqua dell'Olmo e la caserma della Guardia di Finanza, dove oggi c'è il bivio per Belvedere, sotto l'occhio vigile ed incuriosito dei palinuresi.

Aniello Errico