Transizione, resilienza, permacultura, termini nuovi per concetti antichi. Idee che tornano alla ribalta nel momento in cui sembra declinare il sogno di uno sviluppo economico senza limiti, fondato sull’abbondanza di energia a basso costo ricavata soprattutto dall’oro nero, dal carbone e dall’uranio, tutte fonti esauribili e non più rinnovabili.
La crisi economia, che assimila le nazioni industrializzate del pianeta, ha qualcosa di più profondo e inquietante di quello che i governanti vogliono far credere. Obama ha annunciato ufficialmente che il peggio è passato, ci sono invece segnali chiari ed evidenti che il peggio deve ancora venire. Ecco perché. Agli inizi degli anni 50 (!) Marion King Hubbert, direttore delle Ricerche per la Shell in Texas e prestigioso docente presso le migliori università statunitensi (scomparso nel 1989), dimostrò che la quantità di greggio complessivamente estratto in tutto il pianeta, lungi dall’essere illimitato, avrebbe raggiunto un picco di produzione massima per poi diminuire lentamente anno dopo anno.
In America il picco c’è stato nel 1971, nei paesi dell’OPEC, sempre per il petrolio convenzionale, è stato raggiunto, secondo alcune fonti, pochi mesi fa.
Motivo per cui se dovesse continuare, così come ora, la dipendenza dai combustibili fossili ci aspetterebbe una tragica decadenza, accelerata dall’entrata sulla scena mondiale di nazioni industrialmente emergenti che pretendono la loro quota di sfruttamento e di … inquinamento. Al declino economico si sommeranno altri effetti come appunto inquinamento, distruzione della biodiversità, ingiustizia sociale, ecc. Intanto il costo del petrolio è in continua oscillante ma inevitabile ascesa, però c’è
tempo….in un articolo del Telegraph del 3 aprile
(http://www.telegraph.co.uk/finance/newsbysector/energy/oilandgas/7500669/Oil-reservesexaggerated-by-one-third.html) è fissato al 2014 il disallineamento tra domanda e offerta, ovvero un’offerta che non può più soddisfare la domanda, certo non è una catastrofe solo l’inizio di un disastro annunciato.Tutto ciò è stato lucidamente intuito e descritto da Rob Hopkins (l’esatto opposto di un leader) che dal 2003 ha lanciato, insieme ai suoi allievi, il movimento culturale Transition (facilmente rintracciabile su internet), che consiste nel creare “comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti (ossia facilmente adattabili) attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali) ”.
Possono sembrare idee stravaganti ma intanto l’Inghilterra comincia a muoversi. È dei primi di aprile la notizia che Lord Hunt, il ministro britannico per l’energia, si incontrerà presto con alcuni industriali per discutere proprio del picco del petrolio e delle misure da prendere.
In Italia l’argomento è lontano dall’attenzione dei politici, forse perché non fa notizia o forse perché la nazione è in un surreale momento di ascesa alla felicità. Ma poiché i primi a farne le spese saranno soprattutto i giovani, questi hanno preso responsabilmente a parlarne e a organizzarsi soprattutto attraverso internet, l’autostrada del pensiero condiviso. Così a Marina di Camerota il 31 marzo e 1° aprile si è tenuto, in una sala del villaggio Chalet degli Ulivi, un Transition Talk, ossia due giornate di informazione su cosa è il movimento di Transizione, meglio noto come movimento delle Città di Transizione (Transition Towns). “I problemi gemelli” ha affermato il relatore e organizzatore dell’incontro ing. Emmanuele Cammarano “Picco del petrolio e Cambio climatico si aggravano con gli anni e ci prospettano un
futuro senza possibilità se non ci si prepara adeguatamente per tempo. Si parla di un periodo utile di non più di cento mesi per invertire completamente la rotta. Il Movimento di Transizione è la migliore risposta, attualmente in azione, per collegare questo cambiamento con le possibilità economiche della gente. Coniugando al meglio tecnologie agricole, ingegneria delle risorse innovabili e tecnologie sociali, il processo viene reso possibile e addirittura divertente.
Per capirci meglio trascriviamo di seguito quello che scrive il portale "Transition Italia" (http://transitionitalia.wordpress.com/), portavoce e ramificazione italiana del movimento:
• il Riscaldamento Globale impone la riduzione delle emissioni di CO2.
• Il Picco del Petrolio rende questa riduzione inevitabile.
• La Transizione rende tutto questo possibile e desiderabile (almeno per quanto abbiamo sperimentato fino ad ora.
Le cose di cui siamo convinti sono:
• se aspettiamo i governi, sarà troppo poco e troppo tardi,
• se agiamo individualmente, sarà troppo poco,
• ma se agiamo come comunità, potrebbe essere quanto basta e giusto in tempo.”
La due-giorni non è stata sufficientemente propagandata per cui l’uditorio era ristretto, ma i presenti in gran parte giovani, hanno mostrato grande interesse e una vivace partecipazione alle discussioni che sono seguite al cineforum; inoltre hanno espresso l’interesse a fare del proprio paese una Transition Towns.
Ricordo che negli anni 70, ero allora studente universitario, fece scalpore un libro di Ernst F. Schumacher dal titolo “Piccolo è bello: l’economia come se la gente contasse” che divenne subito un bestseller internazionale. L’autore, filosofo ed economista con interessi nelle varie branche delle scienze applicate all’industria e all’agricoltura, fu un pioniere dello sviluppo
sostenibile. Teorizzò il rifiuto del materialismo occidentale fondato sul consumismo e dunque sullo sperpero delle risorse della Terra e ripudiò lo sfruttamento economico degli individui e del pianeta.
Gli strumenti pratici che l’autore proponeva per produrre il cambiamento non furono accolti dal mondo occidentale tutto proteso verso il miracolo dello sviluppo economico basato sulla massificazione dei consumi, un modello che oggi si sta mostrando pericolosamente effimero.
Mi pare questo un argomento con cui anche i giovani di Palinuro, molti dei quali qualificati e acculturati, potrebbero misurarsi e farne oggetto prima di discussione e poi di attuazione pragmatica, magari prospettando un modello di sviluppo per Palinuro diverso da quello passivo attuale. Infatti a Palinuro esistono le risorse ambientali per poter costruire un modello di crescita innovativo, compatibile, alternativo e duraturo, basta provarci, essere lungimiranti e accantonare i pregiudizi. Un punto di partenza potrebbe essere la creazione di una Transition Towns; non vorrei spaventare i ben pensanti ma l’iniziativa potrebbe rappresentare, una profonda motivazione di revisione e
di impegno e un modo per rimettere in movimento un sistema civile, economico e politico inceppato e, io reputo, allo stato attuale con un futuro molto incerto.
La mia critica condivide quella parte del pensiero di G. Taverni, apparso sull’ultimo numero di Hermes, circa il “vezzo” dei paesani di demolire il pensiero o l’iniziativa di coloro, chiamiamoli pure palinuri, che provano a lanciare nuove idee e/o iniziative. Dopodiché l’autrice entra nel più plateale dei paradossi arrivando a denigrare persone che non possono difendersi. L’etica di chi scrive vuole che si critichino gli scritti, le opere o gli operati delle persone, portando motivate valutazioni, ma è vergognosamente scorretto saltare questi passaggi e arrivare agli insulti: definire “preticchio”… chi? Palinuro al contrario ha avuto l’onore e credo il piacere di ospitare Sacerdoti con tanto di attributi che hanno impegnato le loro vite e i propri talenti esclusivamente per la crescita spirituale, culturale e civica della propria comunità. Svilire il ruolo di questi personaggi,
come di altri dello stesso calibro, vuole dire privarsi di quei fari di saggezza necessari alla crescita della comunità. Nel suo pezzo l’autrice da inoltre la sensazione di una persona, ahimè una giovane, ripiegata su se stessa a piangersi addosso disperata vittima di un fato deciso altrove, magari lassù nell’Olimpo. Il vero dramma sta invece nella difficoltà di una comunità a cercare temi e strumenti innovativi, alcuni li ho indicato nelle righe precedenti. Terapeutico potrebbe rivelarsi il ricorso, a vario titolo, a persone, qualificate, fuori del nostro ambiente (tanti forestieri chiedono di essere invitati) sarebbe un modo per allargare la comunità, nel senso più ampio, e proiettarla in una dimensione più vasta con conseguente certamente vantaggiose.
Infine chiedo al Direttore di Hermes dott. Vitolo, che definirei un palinuro che si è affermato, se legge gli scritti che gli pervengono prima di pubblicarli. È giusto che ognuno sia libero di esprimersi assumendosi la responsabilità di quello che scrive, ma un Direttore avrebbe il dovere, in presenza di offese, di prenderne contestualmente ledistanze, a meno che non le condivida! Il dott. Vitolo a me pare persona corretta, suppongo dunque si sia trattato, in questo caso, di una banale distrazione.
Giovanni Cammarano
Poiché Giovanni Cammarano mi chiama direttamente in causa, devo rispondergli (come peraltro ho già fatto direttamente con lui). Egli si riferisce all'articolo di Giovanna Taverni, History of violence", pubblicato sullo scorso numero di Hermes. Leggo sempre gli articoli che pubblico (ci mancherebbe!) e anche quello appena citato mi era piaciuto. Non ritengo che l’autrice sia una giovane “ripiegata su se stessa”. Mi è sembrato invece che esprimesse un senso di frustrazione che io stesso condivido, quando vedo l’atteggiamento molto diffuso a Palinuro e nel Cilento, dove si è repentinamente passati dall’atavica ma dignitosa povertà del passato alla volgarità del presente, dove si pretende di lavorare meno di due mesi all’anno, senza offrire servizi e qualità, perché “tanto il mare è bello” e chi viene qui deve pagare e basta. E poi è vero che non c’è il cinema, il trasporto pubblico per la stazione, il wi-fi, ecc. Per quanto riguarda i “preticchi” non c’è stata nessuna distrazione da parte mia: Giovanna Taverni non si riferiva certo a sacerdoti, di cui abbiamo il massimo rispetto, ma usava questa parola (forse un po’ infelice – lo ammetto) per riferirsi ai tanti predicatori che sanno tutto, che hanno capito tutto, ma che non fanno niente per migliorare la nostra terra. Paolino Vitolo