PACS e crisi della famiglia

In questi giorni Papa Benedetto XVI ha richiamato ripetutamente l’attenzione sull’argomento dei Pacs. Secondo l’On. Grillini, fra non molto, il Parlamento affronterà questa tematica, vale a dire la disciplina legislativa del “patto civile di solidarietà” cioè l’accordo tra due persone, anche dello stesso sesso, stipulato al fine di regolamentare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla vita in comune. Questa legge estenderebbe ai contraenti del patto gli stessi diritti dei coniugi uniti in matrimonio. Ciò ha sollevato alcune problematiche morali: la Chiesa ritiene che questo possa essere un altro fattore di minaccia per la famiglia, come lo è stata la legge sul divorzio. Legata ai Pacs, è anche la possibilità d’adozione di un figlio da parte della coppia omosessuale; questa situazione, a parte le problematiche morali, comporterebbe per i figli adottivi notevoli difficoltà per un sereno ed equilibrato sviluppo. Non sempre il sesso anagrafico corrisponde all’identità sessuale psichica dell’individuo, fra persone dello stesso sesso può nascere amore vero, a volte, anche più duraturo di quello tra coppie normali. E’ comprensibile, che, fra queste coppie, ci possa essere il desiderio di una regolamentazione legislativa, che stabilisca diritti e doveri di entrambe. In riferimento a questi “diritti” soggettivi, però, bisogna considerare se la loro tutela porti vantaggio o piuttosto leda gli interessi della nostra società, che ha radici nella dottrina cristiana. Anche secondo la Costituzione, la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio. La parola “naturale” sta a significare che c’è prima ed indipendentemente dal riconoscimento dello Stato, come i diritti fondamentali che sono “riconosciuti” e non semplicemente garantiti. Per questo motivo, taluni, come Marcello Pera, sollevano per i Pacs il dubbio di incostituzionalità. Mi sembra strano, però, che proprio ora questo problema sia affrontato, ora che si sta sviluppando una tendenza alla diminuzione dei matrimoni, a favore della convivenza. E’ veramente necessaria questa regolamentazione, questa burocratizzazione dei rapporti di coppia? Forse qualcuno desidera che lo Stato, che già interviene pesantemente nella regolamentazione dei rapporti matrimoniali, metta il naso anche in queste unioni ”anomale”, con il pretesto di difendere il componente più debole della coppia? E’ veramente necessario preoccuparsi di disciplinare, di stabilizzare per legge queste unioni, quando nella nostra società si va diffondendo una cultura, un modo di vivere, in cui la precarietà pare sia la regola e la continuità del rapporto l’eccezione? Questa cultura e questo modo di vivere, in realtà, sono alla base della crisi della famiglia. Più che dei Pacs dovremmo preoccuparci di questa cultura che si sta diffondendo a tutti i livelli, tramite i mezzi di comunicazione di massa: la televisione, il cinema, i concerti. E’una cultura che tende a distruggere il modello di famiglia che si era strutturato in secoli di storia, quasi ci sia un disegno diabolico per tagliare le radici cristiane della nostra società e del nostro modello di famiglia. Con la liberalizzazione dei rapporti tra i sessi, i rapporti d’amore sono sempre più superficiali ed effimeri, anche l’amore tra i coniugi non è più visto come dono di sé, ma al massimo come un prestito parziale e temporaneo. Quando si dona una cosa è per sempre. Se l’amore non è vissuto con semplicità, come un donarsi reciprocamente, anche i rapporti, che si instaurano nella famiglia, diventano qualcosa che ha il limite della transitorieità e della limitatezza. La famiglia è la cellula fondamentale della società: se la cellula è malata, ne risentirà inevitabilmente tutto il corpo sociale. Nella famiglia nasce e si sviluppa la fiducia tra le persone: la fiducia tra i coniugi, la fiducia tra genitori e figli, la fiducia tra fratelli. Se non c’è fiducia nelle famiglie come potrà essercene tra estranei? Minando i rapporti di fiducia nelle famiglie si indeboliscono i rapporti di fiducia nella società. Una società senza fiducia, in cui la cultura predominante è quella dei furbetti di turno, non può avere uno sviluppo armonico, in nessun campo, ma è destinata inevitabilmente al declino. Cosa si può fare per contrastare questa tendenza? E’ difficile dare una risposta; innanzi tutto, credo che non si devono seguire mode ideologiche, culturali, che tendono all’esaltazione di piaceri effimeri, dell’immagine, della ricchezza, del potere, che ci portano a diventare prigionieri del superfluo e a dimenticare l’essenziale. Dobbiamo difenderci da questa cultura che subdolamente ci fa perdere la nostra libertà, non ci fa essere più padroni di noi stessi, e porta ad indebolire, a distruggere i rapporti di fiducia fra le persone, nelle famiglie e nella società.

Gustavo Mion