Quando Satana conduce il ballo

Oggi a Centola sembra ripetersi ciò che Thomas Mann definiva “il disfacimento delle fibre tipiche di una società”, il declino delle amministrazioni, la nevrosi di cultura. Eppure un’analisi va tentata, uno sforzo va compiuto per riportarci alla ragione. Il fenomenologo, il sociologo da qualche tempo hanno privilegiato, nell’intrecciarsi degli eventi copernicani, il rapporto tra amministrazione e società sopra ogni altro evento. E’ giusto, ma temiamo che, presso i cittadini di Centola meno avvertiti, la confusione tra valore copernicano e valore d’interessi sia piuttosto alto. Centola è stato ed è un terreno geloso di riserve che celano spesso interessi vistosamente esistenti. E’ un territorio divenuto un prodotto soggetto alla normale legge della domanda e dell’offerta. Le vicende centolesi riflettono il riaffiorare di un vizio classico nell’opinione pubblica: quello di attribuire a causa colpevole esterna i guai e i problemi che nascono invece in casa. Non è l’ebbrezza dell’onnipotenza, ma il sospetto dell’impotenza quel che serpeggia a Centola. La colpa è da attribuire certamente anche a quegli esegeti letterario-teatrali, frustrati da occulte forze, che hanno fatto crescere globalmente il sospetto che Centola sia condotta da uomini incapaci di dare la minima garanzia di percorso e di guida. E’ pur vero che vi è un difficile rapporto tra popolazione, spazio e risorse, che esigeva la consapevolezza collettiva che Centola poteva prosperare solo se avesse commisurato, con minuzioso rigore, mezzo e fine, risorse oggettive e teorie “dei desideri” o “dei bisogni”, ossia regolato se stessa con estrema cura. E’ pur vero che non era facile, per chi aveva il potere politico, essere in grado di mediare i conflitti per il “bene della cittadinanza”: purtroppo, coloro che sono andati ad amministrare, non avevano una cultura pragmatica in grado di moderare l’urto dell’ideologia d’interesse. Quindi loro erano solo teorici astratti che concedevano al positivismo, al fenomenismo, all’empirismo quella concretezza delle norme naturali del vivere. Così oggi, nei momenti di paura, per le sinistre assurdità della destabilizzazione, affiorano previsioni simili, anche se subito confutate o dimenticate dagli ottimisti e utopisti di professione, per rimuovere i segni premonitori di qualcosa che può accadere, ed eludere i dati della disgregazione operata da comportamenti irrazionali comuni. Questo breve sommario, di una storia sempre fluttuante e talvolta elettrizzante, mostra a sufficienza che vi erano, a Centola, dei problemi abbastanza aggrovigliati da risolvere. Non poteva, questa classe di amministratori, per cultura, educazione, informazione, reggere la società di Centola nello stadio di espansione. Costoro, che avevano difficoltà ad uniformarsi al modello culturale, hanno dato luogo nel corso degli anni ad un fanatismo politico, spesso la disputa era terminologica più che concettuale; se cultura si potesse definire ”saggezza ed onestà” non si capisce perché il termine venisse usato dai demagoghi. Il fenomeno non era affatto estraneo alla tradizione di Centola, secondo i canoni della Repubblica napoletana del 1799. Dalla prima repubblica a tutt’oggi, gli uomini che sono andati ad amministrare, hanno illuminato solo le loro strade oscurando tutte le altre, deplorando che la cultura di Centola fosse impreparata ad “un’analisi rigorosa dell’argomento rinascita”. Tale inesperienza storica sembra esercitare l’irresistibile attrazione del vuoto, dove l’odio politico si sovrappone a molteplici fattori dissociativi. Si direbbe che non basti il moltiplicarsi dei particolarismi di classe e sottoclasse, di corporazione e di generazione. L’amministrazione di uomini e di cose è andata persa a Centola poiché mancava, nella società, una concezione coerente dello sviluppo e delle sue compatibilità. Così Centola è oscillata fra arretratezze e anticipazioni, fra il più basso prodotto del Cilento e le più esigenti e impegnate teorie dei bisogni. Negli ambienti del comune di Centola si vedono alcune facce che si atteggiano a profeta: spesso invitano i centolesi ad una furiosa campagna d’intolleranza, contando sull’integralismo politico, sul sanfedismo, sul bigottismo e sul riacutizzarsi dei contrasti sociali, per mantenere i centolesi sotto la stessa insegna. Questi notabili del nostro comune, che non hanno fatto altro che polemizzare, agitare pugni e sfidare cieli e terra, irrequieti e temerari, talvolta anche originali, dicono di essere i capeggiatori del bene di Centola. A furia di vociare contro la retorica non si accorgono di aver creato la retorica della declamazione e dello schiamazzo, della minaccia apocalittica, della vuotaggine. Costoro sono come la peste che vaga nelle tenebre. Centolesi, chi andrà nel deserto non sarà più quello di prima, finitela di girare intorno con i mantici, è tempo di prendere i secchi d’acqua.

S.G.