Le vie dello sviluppo
Sono quarant’anni che la nostra comunità attende dei segnali di rinascita, ma puntualmente le amministrazioni in carica non ne danno. I problemi si accumulano, il degrado cresce, però a governare sono sempre gli stessi. La gente parte perché non ce la fa a campare, molti giovani rimangono in lista di attesa per posti che mai nessuno potrà dare, altri giovani vivono in stato di abbandono e intanto su questa miserevole realtà gli stessi, sempre gli stessi, vincono le elezioni. Allora due domande si pongono. Qual è il perverso meccanismo che ha consentito una tale involuzione rispetto agli anni ’60 ’70? Insomma, quali sono le cause di un tale degrado? Seconda domanda: si può fare qualcosa? Cercherò di rispondere ad entrambe. Nelle condizioni di sottosviluppo sarebbe semplicistico, ingiusto e ingeneroso attribuirne la colpa alla popolazione, alla sua indolenza, alla sua poca intelligenza e al suo scarso spirito di iniziativa. Io invece ritengo che le responsabilità vadano a cadere sul potere pubblico e sulla classe dirigente. Torna sempre utile, quando si parla di sviluppo e di sottosviluppo, ricorrere alla grande lezione dell’economista J. M. Keynes e alla sua teoria economica, secondo la quale il potere pubblico ha una funzione essenziale per equilibrare il meccanismo economico, e quindi sociale, attraverso pubblici investimenti. C’è poi una cospicua letteratura di economisti e di sociologi, di storici e di uomini di stato, che condivide una politica di intervento nel mercato per stimolare la domanda attraverso la spesa pubblica, ma anche per migliorare le condizioni di vita dei più deboli, che sono rimasti indietro perché non ce l’hanno fatta e non ce la fanno nella quotidiana lotta per un’esistenza dignitosa. In altre parole occorre che, accanto agli investimenti dei privati, intervengano gli investimenti pubblici e segnatamente quelli che l’Unione Europea ha messo a disposizione per il sud d’Italia, e quindi anche per Centola e che a Centola non si sono visti. Chi, se no le amministrazioni comunali, hanno quest’obbligo ineludibile ed il potere di adempierlo? Non ci sembra che in questi ultimi dieci mesi i nuovi (si fa per dire) amministratori abbiano avuto questa preoccupazione, confermando ancora una volta il loro immobilismo. Noi, con questo giornale, saremo sempre presenti per ricordarglielo. Corsi di formazione professionale, un centro culturale e sportivo, fognature, viabilità, porto turistico, politiche del turismo; soltanto per iniziare, per dare un segnale. Ma forse hanno altre preoccupazioni e occupazioni. Insomma, se la classe dirigente del posto è latitante, il paese arretra ogni giorno di più. In un contesto diverso anche i privati sarebbero invogliati a investire, perché oggi chi investe nella nostra terra rischia molto, non ne ha la convenienza e sceglie altri luoghi. Lo sviluppo culturale in questo contesto è una delle leve fondamentali, perché la formazione professionale dovrebbe accompagnarsi all’investimento privato e pubblico. Definire feudale la classe dirigente degli ultimi trent’anni sarebbe far torto a quelle istituzioni, se si pensa che il feudalesimo fu un regime con ombre e luci (vedi Marc Bloch – La società feudale – Ed. Einaudi). Qui tutto è oscuro. Quando manca il senso di responsabilità negli uomini che detengono il potere, non c’è più politica, ma soltanto una bottega di scambi. Tu mi dai il voto ed io ti faccio lavorare: scambio in cui spesso il lavoratore rimane a mani vuote. Tu mi dai il voto ed io ti faccio costruire: a proposito! Che ne è del piano regolatore, di cui nell’ultima notte prima delle elezioni fu ventilata e sventolata la definitiva approvazione in pubblico comizio? Tu obbedisci ed io ti proteggo. Io faccio di te quello che voglio, perché tu non puoi fare a meno di me. Altro che feudalesimo! Una situazione di ipocrisia si è così formata, una situazione immiserita in cui viene offesa la stessa dignità umana. Una situazione in cui innanzitutto chi ha studiato, che ha un censo, chi ha un lavoro stabile ha il dovere di farsi classe dirigente per una nuova politica o, meglio, per fare finalmente politica.
G.S.