Molti, moltissimi anni fa (era il 1958 e avevo solo tredici anni), durante una vacanza con i miei a Marina di Ascea, dove in verità eravamo capitati per uno di quei capricci del caso che poi segnano il destino delle persone, andando a pescare al largo con la barca di mio zio, vidi per la prima volta al di là della Punta del Telegrafo la sagoma inconfondibile di Capo Palinuro. Mi piacque, anzi inspiegabilmente mi colpì, e decisi che un giorno ci sarei andato. Passarono molti anni, sette per l’esattezza, ma mi sembrarono tanti, perché da giovani il tempo dura di più, e giunsi finalmente a Palinuro. Capii subito che quella sarebbe stata la mia terra.
Chiedo scusa ai lettori per aver ceduto ad una nostalgia autobiografica, ma volevo che tutti, anche quelli che non mi conoscono personalmente, sapessero che, anche se vengo da Napoli, mi sento un cittadino di Palinuro, cilentano come loro. So che non è facile essere accettato: il popolo di questa terra stupenda conserva una sua fierezza ancestrale, provocata forse da una storia di invasioni, ruberie, prepotenze, che lo portano a guardare con sospetto lo “straniero”. E’ anche vero, però, che il senso di ospitalità del cilentano, sentimento sacro ereditato dai padri greci, permette, a chi se ne renda degno, di integrarsi perfettamente nel territorio.
Questo ho cercato di fare, quando un anno fa, cogliendo l’occasione della campagna elettorale per le elezioni amministrative comunali, cominciai ad interessarmi attivamente alla vita politica di Centola, animato dal desiderio di fare il bene di questa che è – lo ripeto – la mia terra. In verità mi trovai subito circondato da molti amici, che ancora oggi, dopo i noti e purtroppo deludenti risultati politici, sono al mio fianco per continuare l’opera intrapresa, che è risultata più difficile del previsto.
La situazione iniziale, che era ed è sotto gli occhi di tutti, vedeva un territorio governato (si fa per dire) da ben dieci anni da un’inamovibile amministrazione di centro sinistra, che aveva basato e rafforzato il suo potere su ben radicati meccanismi clientelari, in perfetto stile da prima repubblica. In questi dieci anni il territorio di Centola, pur incorporando nel suo seno la cosiddetta “perla del Cilento”, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, non aveva fatto altro che degradarsi: il mare diventava ogni anno meno pulito, i servizi sempre più scadenti, il turismo sempre più svogliato e dequalificato, ridotto ad un’orgia di massa concentrata nei venti giorni centrali di agosto, e gli abitanti, che negli anni ’60 avevano visto schiudersi un futuro di prosperità dopo secoli di miseria e abbandono, si accorgevano con rincrescimento che le rosee promesse erano miseramente tradite. Lo spettro dell’emigrazione, che sembrava sconfitto per sempre, si riaffacciava sempre più insistente a turbare questa terra privilegiata dalla natura.
I problemi erano sotto gli occhi di tutti e tutti sentivano la necessità di cambiare, dopo dieci anni di amministrazione fallimentare, tanto incapace quanto prepotente e boriosa, forte soltanto dei suoi intrecci di potere. Sentivamo la vittoria in pugno ed eravamo certi che una lista di opposizione avrebbe vinto le elezioni con largo consenso, ponendo fine alla troppo lunga egemonia dell’amministrazione uscente. Una lista, appunto, avrebbe vinto a mani basse; due liste di opposizione hanno perso entrambe. Tutti sappiamo come siano andate le cose e ognuno di noi conosce perfettamente (o crede di conoscere) i responsabili dell’orribile spreco che è stato fatto: l’aver diviso le forze che, unite, avrebbero riscattato il paese, mentre invece, divise, l’hanno riconsegnato ad altri cinque anni di inazione e di degrado.
Tutti conosciamo i colpevoli, o almeno siamo convinti di conoscerli; e su queste nostre convinzioni potremmo continuare a litigare per i prossimi cinque anni, o per tutta l’eternità. E siccome (mai proverbio fu più appropriato) “tra i due litiganti il terzo gode”, il terzo continuerà indisturbato a fare carne di porco della nostra terra, che di questo passo tornerà all’oscurità e alla nera miseria dei secoli scorsi, quando neanche gli avventurosi viaggiatori del “grand tour” osavano penetrarvi, e i templi di Paestum erano il confine estremo di una terra incognita e la stessa Velia era ancora sepolta e dimenticata.
Facciamo tutti un esame di coscienza. Siamo proprio certi che le nostre convinzioni, le nostre piccole incrollabili fedi non possano sopportare un piccolo passo indietro, il modesto sacrificio di tendere la mano al nostro avversario, che poi avversario non è, perché come noi ama questa terra e desidera le stesse cose che desideriamo noi? Io, l’esame di coscienza l’ho fatto. So di non aver sbagliato, perché ero e sono in buona fede, ma ho chiesto ugualmente scusa a tutti; ho chiesto perdono per non essere riuscito a fare il possibile per annullare le piccole differenze, le piccole incompatibilità, le ripicche, i malintesi, le incomprensioni, i dispetti, i pettegolezzi, tutto quel coacervo di stupidità che ci ha fatto perdere, a tutti, anche a chi crede di aver vinto, la possibilità di fare quello che tutti, indistintamente, desideravamo: far risorgere Centola, Palinuro, Sanseverino, Foria, San Nicola.
Per questo, dalla modesta tribuna di questo giornale, che oggi vede la luce, chiedo a tutti di collaborare per il bene comune, mettendo da parte i rancori. Lo chiedo soprattutto, io che sono solo l’ultimo e il più modesto cittadino di Palinuro, a quegli uomini politici, tutti indistintamente, che avrebbero dovuto dare l’esempio nel cercare e trovare un accordo. So che l’anno cercato, ma purtroppo non sono riusciti a trovarlo.
Siamo condannati ad altri cinque anni di calvario, relegati all’opposizione, noi che, se fossimo stati uniti, avremmo potuto governare. Facciamo in modo che questi cinque anni possano preparare un futuro migliore. Se non siamo riusciti a vincere uniti, cerchiamo almeno di essere uniti nell’opposizione; facciamo in modo che il nostro disaccordo non favorisca una maggioranza che maggioranza non è. Riappropriamoci del nostro potere: insieme ne abbiamo tanto e, se stiamo uniti, possiamo governare la nostra terra anche così. In attesa di farlo, tra poco, come legittimi vincitori eletti dal popolo.
Paolino Vitolo