3 luglio 2024

Le lucciole

di Ferdinando De Luca

Anche se giugno è ormai alle spalle, mi piace pubblicare ancora una volta questo brano che ho scritto qualche anno fa sulle lucciole, insetti fosforescenti che mi riempivano di stupore e di meraviglia quando, da ragazzo, ne ammiravo il luccichio nelle sere di giugno, ponte di passaggio tra le due più belle stagioni dell'anno. Parecchi di voi che vi appresterete a leggere il mio scritto non hanno avuto la fortuna di ammirare questo fascinoso spettacolo della natura.

Quand'ero ragazzo, giugno era per me il mese dell'inizio delle vacanze estive (lo è tuttora per tanti studenti) e delle lucciole.

Nel clima euforico della scuola appena chiusa era bello scorrazzare per l'intera giornata per le vie del mio paese e per i campi, dove la primavera, nel passare il testimone all'estate, raggiungeva il suo massimo fulgore.

S'intravedeva tra l'erba ancora rigogliosa per le piogge di maggio un oceano di margheritine bianche e gialle intervallate da tanti altri fiorellini dai multiformi colori; qua e là campeggiavano chiazze rosse di superbi papaveri che a me piaceva raccogliere per privarli dei petali. Lungo e in mezzo alle siepi di macchia mediterranea, soprattutto sulla sommità del "Tempone" - la collina su cui sorge l'attuale abitato del mio paese natale (San Nicola) - si ergevano cespugli di ginestre tutte fiorite, che spargevano intorno un delicato profumo.

La natura, bella e florida come una ragazza prosperosa nel fiore della sua età, era tutta una festa di colori, di suoni, di soavi fragranze.

Ma i momenti più belli e ricchi di suggestione di quel lungo periodo di attesa della vacanza balneare (a mare si andava in luglio e in agosto) io li vivevo la sera, quando finalmente arrivava il buio dopo una lunga giornata di sole.

Quando c'era la luna, affacciandomi dalla grande loggia della mia casa, potevo ammirare uno spettacolo stupendo: il pallido astro illuminava l'ampia valle del fiume Lambro colorandone d'argento il corso; più in fondo si scorgeva la collina della Molpa e, verso sudovest, il promontorio di Palinuro con uno spicchio di mare e quel faro con la sua luce a intermittenza, che mi faceva pensare ad antichi velieri o a moderne navi transoceaniche che avevano costeggiato o costeggiavano quel tratto di mare. Le sere senza luna erano ancora più fascinose perché sembrava che un pezzo di cielo stellato fosse caduto sulla terra: un luccichio intermittente e danzante la copriva tutta, come un elegante abito nero ricoperto di strass avvolge il corpo di una donna vestita a festa per una serata di gala.

Io e i miei amici correvamo dietro a quei piccoli insetti, le lucciole, per "acchiapparle" nel tentativo di scoprire il mistero di quella luce; e, con la tipica, inconsapevole crudeltà dei bambini, facevamo a gara a chi ne "acchiappava" di più, stropicciandole con le mani fino a schiacciarle, sperando di trattenerr e conservare quel luccicore.

La magia di quelle stelline volanti, che sembravano cadute dal cielo, raggiungeva il suo culmine quando andavo da mia zia a Cuccaro in occasione della festa di San Pietro. Anche là, affacciandomi dalla loggia di casa, ammiravo un manto di stelle tremolanti e svolazzanti tra i rami dei secolari ulivi del giardino sottostante.

A volte, dopo cena, in compagnia di qualche mio cugino, mi facevo una bella passeggiata lungo la strada provinciale che porta sulla sommità della collina di San Vito: il fresco della notte era piacevole dopo una giornata di calore canicolare. Ai bordi della strada si stagliavano gli enormi tronchi dei castagni; e anche qui, tra i rami fitti del bosco, miriadi di lucciole, che sembravano gli occhi fosforescenti di elfi, di gnomi, di driadi, gli esseri favolosi dei boschi delle fiabe.

Aspiravo avido l'aria purissima del luogo; e mi penetrava le nari, e mi sembrava che entrasse per tutti i pori della pelle, l'odore inebriante dei fiori di castagno...