Rosario Ruggiero, pianista, giornalista, da ventun anni autore e curatore della rubrica settimanale La Briciola sul quotidiano Roma. Dal 2017 è, nei fine settimana, presso il Museo di Capodimonte dove impreziosisce l’offerta artistica di quell’istituzione eseguendo al pianoforte musiche di Beethoven, Chopin, Scarlatti, Schumann, Haydn, Pietro Domenico Paradisi, Brahms, Muzio Clementi, Mozart ed altri insigni musicisti. É autore di pregevoli pubblicazioni: “Elogio della civiltà musicale napoletana”, “Invito alla musica”. “Guida minima al miglior godimento dell’arte dei suoni”, “Invito a Napoli”, “Sulla poesia umoristica napoletana”.
Sei stato tra i primi a far conoscere agli Italiani, con i tuoi libri, il valore ed i successi del grande pianista napoletano Aldo Ciccolini, che ci ha lasciato in Francia, sua seconda patria, il primo febbraio del 2015, giusto 8 anni fa; ce ne vorresti parlare?
Non credo di essere stato tra i primi, tantomeno il solo. Ho avuto però modo di parlare in qualche misura di Aldo Ciccolini, come pure di Paolo Spagnolo, Sergio Fiorentino e Giuseppe Terracciano, del quale ho anche pubblicato qualche esecuzione in rete informatica, perché sono tra gli ultimi più significativi esponenti di una scuola pianistica, quella partenopea, massimamente gloriosa, per quanto sconosciuta ai non addetti ai lavori malgrado documentata in città da una statua di Sigismund Thalberg, il capostipite, nella Villa Comunale, e da una ricca toponomastica che ricorda i nomi di Alessandro Longo, Florestano Rossomandi, Beniamino Cesi ed altri. Una scuola dalla quale deriva pure il pianismo di grandi interpreti mondiali ed epocali come Martha Argerich o Arturo Benedetti Michelangeli. Aldo Ciccolini ne è sicuramente un più che degno rappresentante per chiarissime virtù, musicali, tecniche e professionali.
Le tue splendide prestazioni pianistiche mi hanno fatto capire che personalmente tieni molto alla sonorità ed alla qualità del suono. Mi sbaglio?
Oggi il livello tecnico pianistico di carattere “meccanico”, ossia inteso come velocità, chiarezza, precisione e forza, è altissimo. Ai massimi livelli concertistici tutti suonano tutto e brillantemente. Ma la tecnica più nobilmente intesa pretende anche bellezza e varietà timbrica, qualità che distinguono i virtuosi più rari come Emil Gilels, Vladimir Horowitz, Arturo Benedetti Michelangeli, Lazar Berman, Earl Wild ed altri.
Specialmente tra gli anni 50 e 60 dello scorso secolo, più di un pianista straniero ambiva suonare a Napoli, magari con la celebre Orchestra Scarlatti. Ora non più ?
Quando mi si chiede dell’attuale realtà musicale, mi è caro portare un esempio cinematografico, giacché la cinematografia è maggiormente vicina a tutti. Cinquanta anni fa, Vittorio De Sica, Neorealismo (non c’è libro di storia del cinema che possa chiamarsi tale se non accenna almeno al Neorealismo), premio Oscar, chiara bravura di attore.
Oggi, il figlio Christian ed i suoi cosiddetti “cinepanettoni”. Differente spessore artistico? Contingenze epocali? Certo il risultato è ben differente. Orbene, quello che vale per il cinema, da anni, in Italia vale un po’ per tutto, quindi anche per la musica.
Oltre che essere eseguito dal pianista, può un brano musicale - ed in quali limiti - essere da lui interpretato in modo del tutto personale e soggettivo?
L’arte è una soggettività oggettiva, ossia una maniera certo individuale di vivere il mondo, pur intimamente comune agli altri, altrimenti questi non la riconoscerebbero e, con essa, non arricchirebbero se stessi. Certamente un brano musicale propone la sensibilità del suo autore attraverso suoni opportunamente scelti e combinati tra loro. Ma la velocità di scorrimento del brano, momento per momento, le intensità dei suoni ed il timbro, per quanto suggeriti dall’autore nel testo, sono appannaggio dell’interprete, che quindi ricrea la pagina secondo la sua individuale, e ci si augura in qualche misura condivisa, sensibilità. Insomma, tra autore ed interprete è un po’ come Dio quando compose Adamo con il fango, ma poi gli diede vita col suo soffio divino.
È vero che, nel suonare il pianoforte, il controllo del timbro è per un pianista debuttante un risultato difficile da ottenere senza l'adeguato insegnamento di un Maestro che sappia davvero sensibilizzare il proprio discente?
È vero che l’apprendimento di un’arte è il prodotto della sensibilità del discente con la perizia dell’insegnante, come lo sviluppo generico dell’intelligenza di una persona è il prodotto di doti innate e stimoli dell’ambiente. Dopo di che, Leonardo da Vinci diceva “Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro”.
Mi pare d'intuire che il suono non sia per te un fatto unicamente tecnico ma sia anche e soprattutto un veicolo per trasmettere profonde emozioni a chi ascolta; me lo confermi?
Se il suono, e quindi la musica, fosse un fatto solamente tecnico, sarebbe allora né più né meno che un semplice passatempo, che lascia il tempo che trova.
Durante le tue vibranti prestazioni pianistiche... è corretto pensare che le sapienti sospensioni delle pause siano tutt' altro che casuali?
Nulla è casuale in un’interpretazione ben riuscita; tutt’al più qualcosa potrà essere occasionale, ossia dettato dal momento, dalla risposta acustica della sala, dello strumento e dall’atmosfera che saprà creare intorno all’artista l’uditorio.
Nelle tue brillanti performances, al Palazzo Reale di Capodimonte, ho visto italiani e stranieri a dir poco estasiati dalle tue esecuzioni pianistiche; ce ne parli un po'?
Sarebbe vanità da parte mia parlarne, ma, circa Capodimonte, conservo gelosamente taccuini riempiti dai giudizi autografi degli ascoltatori.
Vieni spesso indicato come pianista dal tocco straordinario e come "un grande virtuoso della tastiera". Che cosa pensi di questa ultima definizione?
Che, se il giudizio di virtuoso si ferma all’aspetto squisitamente tecnico, vale quanto il giudizio ad un acrobata da circo; se invece vuole indicare la capacità di muovere felicemente l’animo altrui, non credo esista lusinga maggiore per un artista.
I grandi Compositori da te amati e da te scelti (come Scarlatti, Chopin, Muzio Clementi, ecc.) danno ovviamente emozioni diverse a coloro che le avvertono; mi chiedo se ciò valga anche per te.
Ovviamente. Prima di essere un interprete sono un ascoltatore.
Il tuo repertorio pianistico è tra i più ampidi quelli che io abbia mai ascoltato in mezza Europa; ma se tu fossi costretto a cambiare universo e ti fosse consentito di portare con te solo pochi autori e poche opere, quale sarebbe la tua scelta?
Molti hanno la velleità di fare gli attori per coprire ruoli da protagonista vincente. Chi ha autentica vocazione per fare l’attore trova però in ogni ruolo una provocazione, una sfida interpretativa, così che tutti i ruoli diventano, in qualche modo, equivalenti. Similmente, è così per la scelta degli autori da parte di un interprete autenticamente vocato.
Hai qualche consiglio per un giovane che volesse tentare di cimentarsi oggi nella carriera musicale?
Se per carriera si intende fama, popolarità e guadagni, non sarebbero consigli molto etici. Se per carriera si intende il raggiungimento di bravura efficace, cosa altro suggerire allora se non studio, dello strumento, della musica, dell’arte, della cultura tutta, ma, soprattutto, della vita?
Rosario Ruggiero interpreta F. Chopin: Valzer in si minore op. 69 n. 2 - YouTube