10 marzo 2022

Il mito della terza Roma e l'America agli americani

Ferdinando De Luca

L’aggressione militare della Russia all’Ucraina, voluta fortemente e meditata evidentemente da tempo da Vladimir Putin, ha giustamente suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale, come sempre succede quando, senza neanche una motivazione apparentemente plausibile, una nazione molto più grande e forte militarmente ne assale un’altra in condizioni di evidente inferiorità da questo punto di vista. L’esecrazione e lo sdegno sono del tutto giustificati in situazioni del genere.

Ma, se si intende fare una fredda, direi asettica, analisi storico-politica di una vicenda di questo tipo, cercando in qualche modo di comprenderne le cause, giuste o sbagliate che siano, allora bisogna mettere da parte le categorie dell’etica e della morale.

Detto questo, e a scanso di equivoci, mi preme precisare che io non ho mai nutrito alcuna simpatia per Vladimir Putin. Del resto, tutti sappiamo chi è: è un ex-agente del KGB, il quale, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel confuso periodo di rivolgimenti politici che interessarono la Russia nell’ultimo decennio dello scorso secolo, è riuscito con abile spregiudicatezza a scalare le vette del potere. Divenuto leader indiscusso, ha vinto da allora tutte le elezioni, usando ogni mezzo, lecito e illecito, per avere la meglio sui suoi oppositori e perseguitando fino all’assassinio i dissidenti.

È un autocrate secondo la migliore tradizione russa, degno erede di Ivan IV il Terribile, di Pietro il Grande e, ovviamente, di Stalin. E tale si sente.

È un “panslavista” e, come tale, si comporta.

Del resto, - ed ora veniamo all’analisi del personaggio Putin e dei suoi comportamenti sotto il profilo storico- egli è il continuatore di una strategia politico-diplomatica che affonda le sue radici nelle origini dello Stato russo al tempo del granducato di Mosca, allorché (siamo nel 1325) il metropolita della chiesa ortodossa russa trasferì la sua sede da Kiev a Mosca. A proposito dei rapporti tra il metropolita della chiesa ortodossa russa e il potere politico c’è da precisare che fin da allora ci fu una prosecuzione della commistione fra politica e religione già presente nell’antico patriarcato di Costantinopoli, il quale fu dai tempi di Giustiniano in poi subordinato al potere dell’imperatore. Commistione fra politica e religione e subordinazione del patriarca di Mosca all’inquilino del Cremlino presenti tuttora, viste le ultime, sconcertanti esternazioni del patriarca moscovita Kirill a proposito della guerra in Ucraina. Ma torniamo alla storia.

Circa un secolo dopo il trasferimento sopra ricordato, Ivan III il Grande riusciva a scuotere per sempre il dominio dei Tartari e gettava le basi di una monarchia nazionale russa, essendo sul punto di conquistare la maggior parte della Russia settentrionale e centrale. Nel frattempo egli aveva sposato Sophia Paleologa, figlia dell’ultimo imperatore d’Oriente Costantino XII. Ivan III si considerò l’erede di quell’impero abbattuto dai Turchi Ottomani e considerò Mosca la terza Roma (dopo la Roma antica e Costantinopoli), assumendo il titolo di Zar (Czar) dal latino “Caesar”.

Vladimir Putin cerca, quindi, di portare avanti questa antica tradizione politica russa. Chiuso nel suo delirio di onnipotenza e animato da un’ambizione smodata, così come è successo a numerosi autocrati del passato, ha fatto la sciocchezza di aggredire militarmente l’Ucraina; e, purtroppo, la sua spericolata avventura potrebbe avere conseguenze nefaste per l’umanità intera.

C’è da dire, a questo punto, che fino all’altro ieri alcuni politici italiani (i nomi li conosciamo bene tutti) hanno “flirtato” con costui, forse in nome della “realpolitik” imposta dal fatto che l’Italia è costretta a importare gas metano dalla Russia. Ma si può fare “realpolitik” anche in modo dignitoso; il che non è avvenuto.

Certo, anche gli Stati Uniti d’America hanno, come si usa dire, i loro scheletri nell’armadio.

Pure in questo caso occorre rifarsi alla storia.

Il presidente degli Stati Uniti dell’epoca James Monroe nel 1823, con lo slogan “L’America agli Americani” lasciò intendere con estrema chiarezza che le potenze europee d’allora non dovevano mettere il naso negli affari del continente americano, facendo anche capire che gli USA, in una logica di dominio di stampo coloniale, avrebbero esercitato una sorta di protettorato sulle nazioni dell’America latina.

Da allora, come ben sappiamo, lo zio Sam ha brigato in tutti i modi perché in dette nazioni s’instaurassero regimi, quasi sempre dittatoriali, proni ai suoi interessi economico-commerciali.

Qualche esempio?

Le dittature di Augusto Pinochet in Cile e di Jorge Videla in Argentina, entrambe sostenute e appoggiate dalla CIA. E conosciamo molto bene le numerose volte in cui gli USA, non certo per scopi umanitari o per importarvi la democrazia, si sono intromessi nelle complicate faccende delle nazioni del Terzo Mondo.

Morale della favola?

E’ la politica da grande potenza, bellezza!