Palinuro, tempesta sul porto

di Paolino Vitolo

Il viaggiatore che solo quarant’anni fa si fosse avventurato lungo la costa della Campania più a sud dei templi di Paestum, riconosciuti da almeno un secolo come limite estremo dei normali itinerari turistici, avrebbe goduto delle stesse raffinate sensazioni di quei pochi privilegiati viaggiatori del "grand tour", che osavano spingersi nelle ancora selvagge terre del Cilento. Le strade si facevano sempre più strette e sconnesse, lungo improbabili tortuosi itinerari, in cui ad ogni curva si era colpiti dall’improvvisa visione di un mare intensamente azzurro, incorniciato da olivi giganteschi, mentre il profumo della macchia mediterranea, penetrante, quasi aggressivo, faceva dimenticare gli odori della civiltà ormai remota, e ci si sentiva completamente immersi in un passato mitologico, da poema di Omero.
E poi, valicato l’ultimo crinale, le strada bianca precipitava verso la visione del capo Palinuro, le cui ultime propaggini dorate si incurvavano ad abbracciare uno specchio di mare verdastro, simile a un lago, che i pescatori del luogo chiamavano pomposamente "porto". E invece non era nient’altro che una piccola spiaggia di sabbia gialla, con la chiesetta di Sant’Antonio e qualche casa rosa dalla salsedine, sotto le cui fondamenta il mare si insinuava a volte prepotente, tenendo svegli gli occupanti preoccupati per la loro barca, che avevano tirato in secco in fretta e furia il giorno prima, alle prime avvisaglie del maestrale impetuoso. Già, perché il maestrale la faceva da padrone nel "porto" e tanti vecchi ancora piangevano i loro morti, sorpresi nella loro barca da pesca dalla furia improvvisa degli elementi, che avevano negato loro il ritorno. E proprio per questo da generazioni i pescatori di Palinuro avevano chiesto alle autorità che gli venisse concesso un vero porto, con tanto di molo e di banchina, per poter ricoverare le loro barche e perché Palinuro potesse finalmente diventare un approdo sicuro anche per chi amava navigare lungo le splendide coste del Cilento.
E finalmente una ventina di anni fa si iniziò la costruzione: arrivarono gli autocarri carichi di rocce delle cave dell’entroterra, cubi e tetraedri di cemento furono costruiti sul nuovo molo e poco alla volta un braccio di roccia e cemento si spinse nel mare profondo a chiudere da sud ovest l’imboccatura del nuovo porto. Ci fu lavoro per tutti e molti si arricchirono, perché, secondo la logica di quegli anni, si scelse il progetto non solo più costoso, ma anche suscettibile di facili lievitazioni dei costi; finché i soldi finirono e si decise che ormai il porto era completo con il solo frangiflutti di sud ovest e con una piccola banchina, dove, quasi a sancire l’importanza della nuova struttura, fu persino insediata la nuova sede della Capitaneria di Porto. Ma il mare, il vero padrone, decise altrimenti. Le prepotenti correnti di maestrale, non potendo superare il nuovo frangiflutti, invertirono il cammino e cominciarono a insinuarsi nel porto dalla direzione opposta, cioè da nord, dove non era stato costruito l’altro frangiflutti, che sarebbe stato indispensabile per completare l’opera. E la bella spiaggetta dorata cominciò inverno dopo inverno a scomparire, mentre la sabbia si accumulava all’interno del porto, insabbiandolo inesorabilmente; senza impedire peraltro che la risacca di maestrale continuasse a farla da padrona all’interno del bacino, che continuava ad essere scomodo e insicuro, se non addirittura pericoloso soprattutto in inverno. E i pescatori continuarono, come facevano i loro padri e i loro nonni, a tirare faticosamente in secca le loro barche al primo annuncio della cattiva stagione.
Finché appena ieri, in prossimità del capodanno del 2000, il mare non ha deciso di chiedere un nuovo tributo: con inaudita violenza ha scavalcato la banchina, ha invaso la Capitaneria, ha mangiato gran parte dei resti della spiaggetta, ha schiantato sugli scogli le barche di chi aveva dovuto lasciarle in mare per procurarsi con la pesca il pane quotidiano.
Tutto questo perché oggi Palinuro, perla del parco del Cilento, non ha ancora un porto vero, pur non avendo più la splendida spiaggia dell’antico cosiddetto "porto". Con tutte le conseguenze del caso: i pescatori non possono lavorare; il turismo qualificato non decolla, perché qualunque barca si fermi all’approdo di Palinuro ne fugge di solito dopo una sola insonne nottata; i ristoranti, gli alberghi, gli esercizi commerciali, che, come avviene ad esempio a Maratea, potrebbero trarre il proprio benessere dal turismo delle vie del mare, non riescono invece a sopravvivere. Qualcuno obietta che, costruendo il secondo frangiflutti, la spiaggetta (o almeno quello che ne resta) non sarebbe più utilizzabile per la balneazione; e cesserebbe il miserabile commercio di ombrelloni e sedie a sdraio. Costoro però non ricordano o fingono di non sapere che la balneazione è vietata per legge nelle acque portuali.
Quindi, se vogliamo che Palinuro ritorni ad essere un punto di riferimento per il turismo del mare, abbiamo il coraggio di scegliere: o si distrugge quanto di incompleto è stato fatto nel porto, fingendo di ritornare ad un passato arcaico e bucolico, ma purtroppo anacronistico, o si completa l’opera iniziata vent’anni fa e mai portata a termine. Chiudendo il bacino anche a nord, completando le banchine, installando pontili galleggianti per l’approdo delle imbarcazioni minori, offrendo i servizi che ancora mancano, le prese per l’acqua e per l’elettricità, il rifornimento di carburante, l’assistenza nautica qualificata.
Perché nel 2000 l’offerta turistica non può che essere completa e professionale, e non è lecito trincerarsi dietro la malafede di un anacronistico desiderio di ritorno a un passato ormai scomparso, di natura selvaggia e incontaminata, ma anche di fame e di miseria. Anche perché basterà uscire dalla quiete del bacino del nuovo porto, inoltrandosi verso le maestose rocce del capo o più avanti verso le spiagge del Buon Dormire o della Molpa, per ritrovare l’atmosfera mitica dei poemi di Omero e di Virgilio e ricordare lo sfortunato timoniere di Enea, che, cedendo al sonno in vista di queste acque affascinanti ma crudeli, consegnò il proprio nome all’eternità
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Cari lettori, vi è piaciuto il pezzo? Non avete notato qualcosa di strano? Forse un errore di data? Qualche incongruenza?
Va bene, credo di dovervi una spiegazione. L’articolo che avete appena letto lo scrissi più di diciassette anni fa e fu pubblicato dal giornale Roma niente di meno che sabato 8 gennaio 2000. Uau o wow che dir si voglia!!! Eppure, a parte la data un po’ passata, il pezzo mi sembra tremendamente attuale. Certo – direte voi – adesso la spiaggia non è ridotta all’osso, ma è diventata grande anzi grandissima e non c’è più “un miserabile commercio di sedie a sdraio e di ombrelloni”, ma delle solide concessioni demaniali gestite dal comune di Centola, che garantiscono un buon servizio al pubblico, come del resto confermato dall’intervista al sindaco pubblicata in questo stesso numero. Però, se la spiaggia è più grande, il porto è più piccolo, perché ancora più insabbiato e le barche grandi, quelle che portano soldi per intenderci, non trovano posto a Palinuro e preferiscono andare a Marina di Camerota o a Maratea, se non addirittura a Scario, Pisciotta o Casalvelino. In cambio però abbiamo una bella spiaggia, con i lidi, con gli ombrelloni ordinati e tutti dello stesso colore e con i concessionari che provvedono alla pulizia dei loro tratti di spiaggia e all’erogazione dei servizi anche igienici. Va bene che la spiaggia libera praticamente non c’è più, ma chi non vuole usufruire dei lidi attrezzati se ne può andare da qualche altra parte (circa la metà delle spiagge nel territorio del comune di Centola sono rimaste libere).
Tutto perfetto allora? Non ne siamo sicuri. Tanto per cominciare, c’è un’ordinanza dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Palinuro (la n. 11 del 2014), che nessuno si è mai sognato di revocare, che all’articolo 3 recita testualmente: “Zone di mare vietate alla balneazione. È vietata la balneazione: a. nei porti; b. nel raggio di 100 metri dalle imboccature e dalle strutture portuali; ecc. ecc.”. Chi ha voglia di leggersi tutta l’ordinanza può andare su internet all’indirizzo:
Fantastico! Quindi la legge ci dice che nel porto di Palinuro non si possono fare i bagni. E non venite a dirmi che quello non è un porto, ma una rada. Era così mezzo secolo fa; ora è un porto a tutti gli effetti, con tanto di Capitaneria, la quale sta – guarda caso – proprio vicino alla piccolissima spiaggia libera, dove chi si butta a mare rischia di essere arrotato da una delle tante barche in manovra vicino alla banchina.
Va bene, ma chi se ne frega della legge? Il porto di Palinuro è un magnifico esempio dell’arte del compromesso, in cui noi siamo maestri. Basta chiudere un occhio, qualche volta anche due, e così tutti sono contenti.
Però bisogna notare che purtroppo, a prescindere dai lidi, il porto così com’è e incompleto e inefficiente. Come dice il vecchio articolo del 2000, la mancanza del braccio nord (quello verso l’abitato di Palinuro), mai costruito, fa sì che il maestrale continui inesorabilmente ad insabbiare il porto e a rendere precario l’attracco in banchina, soprattutto alle barche più grosse. La spiaggia diventa sempre più grande ed il porto sempre più piccolo e scadente. Anche la gettata di massi sotto il cosiddetto Punta Paradiso si è rivelata un inutile spreco di denaro pubblico.
Bene, immaginiamo di costruire il braccio nord. A questo punto le correnti di maestrale non potrebbero più entrare e il porto cesserebbe di insabbiarsi. Si potrebbe pensare ad un’energica azione di dragaggio, così da permettere un approdo sicuro anche alle barche a vela ed alle barche più grandi. E si potrebbe razionalizzare ed incrementare l’ormeggio di tutte le imbarcazioni con l’utilizzo di pontili galleggianti, che a questo punto, con le acque sempre calme, sarebbero assolutamente sicuri. E cesserebbe l’andirivieni di gommoni e barche che insistono sull’unico piccolo pontile galleggiante da dove partono e arrivano tutti, rendendo caotica la gestione degli ormeggi soprattutto nel periodo di alta stagione. In tal modo Palinuro avrebbe finalmente un porto vero, come per esempio Marina di Camerota o Maratea.
E i lidi, che fine farebbero? Probabilmente con il dragaggio del porto scomparirebbe in tutto o in parte la spiaggia in prossimità della Capitaneria, e con questa l’esigua spiaggia libera ed alcuni lidi. Gli altri forse potrebbero sopravvivere, ma, cessando le correnti di maestrale, l’acqua non sarebbe più relativamente pulita come oggi e la balneazione non sarebbe soltanto vietata, ma anche sconsigliabile e soprattutto sgradevole. E la legge succitata dovrebbe essere rispettata per forza di cose. Palinuro avrebbe un porto, ma non avrebbe più i lidi sulla cosiddetta spiaggia del porto.
Il quadro descritto può piacere o non, ma è altamente probabile, nel caso si decida finalmente di completare il porto. Fermo restando che lasciare le cose come stanno attualmente potrebbe essere altrettanto insostenibile. Mi auguro che l’amministrazione comunale prossima ventura, qualunque essa sia, si ponga questo problema e prenda una decisione, che sarà in ogni caso difficile, perché sarà impossibile accontentare tutti. Mai come in questo caso però il compromesso sarà impossibile, perché la natura non scende a compromessi.

Paolino Vitolo